01/08/2023
Intervista a Leandro Luppi, chef patron della Vecchia Malcesine
Intervista a Leandro Luppi, chef patron della Vecchia Malcesine
Il panorama gardesano vanta da sempre il favore del clima, la ricchezza della biodiversità, la meraviglia dei paesaggi che circondano il lago e l’atmosfera vacanziera che qui si respira soprattutto nei mesi estivi. Ai doni che la Natura ha dato al Garda si aggiungono anche i frutti dell’ingegno umano nel campo dell’enogastronomia, dove le materie prime locali vengono valorizzate e rese protagoniste di piatti dal sapore indimenticabile, ideati per rimanere in bilico fra la nostalgia del noto e del tradizionale e l’ebbrezza dell’innovazione, della scoperta. Pranzare o cenare alla Vecchia Malcesine significa questo: incontrare il Garda a tavola, lasciandosi stupire dalle portate dei menu Qcina e Classcs.
«Com’è nato tutto questo, Leandro? Quali sono stati i tuoi primi passi nel mondo della cucina?»
«Conoscevo un ragazzo che faceva il cuoco all’interno delle navi da crociera, mi affascinava l’idea di viaggiare e visitare il mondo per lavoro. All’epoca non esistevano ancora i ristoranti d’alta classe da avere come modello, perciò ho scelto di frequentare l’alberghiero senza un’idea precisa di quello che sarebbe accaduto in seguito. Negli anni ’80 ho aperto il mio primo ristorante, da lì ho costruito passo passo le mie esperienze fino ad arrivare alla stella Michelin: non avendo dei parametri da consultare non ti saprei nemmeno dire che cosa sia stato ritenuto meritevole di questo riconoscimento, per cui lo interpreto a modo mio, come un’attestazione di valore rivolta al lavoro che qui facciamo a tutto tondo. Valutare il singolo piatto sarebbe riduttivo, no? La passione, la dedizione, l’impegno ci hanno portato a mantenere la stella per vent’anni, ma quello che facciamo di giorno in giorno è semplicemente cercare di soddisfare i nostri clienti. Se non mettessimo loro al primo posto, non avremmo modo di parlare d’altro».
«Quali sono le sfide della contemporaneità che il ristorante si trova ad affrontare?»
«Una tra le più impellenti è la crisi legata al clima, che modifica anche i sapori degli ingredienti con cui lavoriamo. La qualità dei prodotti è diversa: anche solo trovare un pomodoro che profumi di pomodoro è ormai diventato difficile. I tempi di maturazione della frutta e della verdura si sono alterati, l’intensità del gusto non è più la stessa, ci sarebbero molte considerazioni da fare in proposito. Credo che occorra una risposta globale per far fronte a questo tipo di criticità, ma anche il singolo ha il potere di chiedere un cambiamento: non utilizzare sempre le stesse materie prime, non voler mangiare sempre le stesse poche cose, espandere i propri orizzonti. Personalmente ho cercato di valorizzare il pesce d’acqua dolce nella mia cucina, la tinca, la carpa, il lavarello, addirittura il pesce gatto: un pesce di fondale, difficile da rendere appetibile e piacevole – al naturale ha un sentore di fango, va elaborato per risultare gradevole. Con piacere posso dire infatti che il piatto di pesce gatto e kiwi è uno dei più apprezzati nel menu Only Fish».
«Un accostamento che produce l’“effetto wow”, senza dubbio, ma che è anche sostenuto da una filosofia che dovrebbe essere comune: evitare di sfruttare risorse che non si rigenerano allo stesso ritmo con cui vengono consumate.
Ci racconteresti più da vicino i tuoi menu, facendoci qualche esempio dei piatti più graditi ai clienti?»
«La semplicità l’ha vinta su tutto. Uno dei piatti più apprezzati è l’Altra Amatriciana o, detta all’inglese, “my Amatriciana is different”: il gusto è quello che ci si aspetterebbe, ma la presentazione della ricetta è inusuale. Si tratta infatti di un piatto di ravioli in cui il guanciale affumicato costituisce una crema gustosa. Non è quindi un fantomatico ingrediente segreto a far sì che un piatto riesca, ma la presentazione di qualcosa di noto sotto mentite spoglie, in un certo senso. Giocare sulle aspettative vuol dire conoscerle bene, soddisfarle e allo stesso tempo disattenderle, espediente che funziona sia con la clientela italiana che con quella internazionale più consapevole di ciò che presentiamo».
«Che rapporto c’è con la brigata, alla Vecchia Malcesine?»
«I ragazzi che lavorano qui per fare esperienza vogliono trovare un trampolino di lancio da cui partire per avviare la loro carriera. Per questo i miei collaboratori sono sempre giovani e il turnover è frequente. Va tenuto presente che l’età non è indice di inesperienza, anzi: se mi assento per qualsivoglia motivo, so sempre che il ristorante funziona, che tutto procede senza intoppi nella routine di sala così come in cucina. I ritmi di lavoro sono flessibili, con due giorni di pausa ogni settimana, cosa che serve per creare un sistema di qualità del lavoro: non m’interessa la pura presenza sul posto, voglio che ci sia entusiasmo, che si possa dialogare in modo attivo e costruttivo, dinamico. Senza mai urlare o alzare i toni – non è mai servito per ottenere risultati migliori».
«Per concludere, lascerei al lettore qualche aneddoto curioso sulla vita del ristorante, che si potrebbe benissimo definire come il luogo dove s’immortalano le più varie fotografie dell’umanità: ci sono episodi divertenti o significativi che ti piacerebbe condividere con noi?»
«Sicuramente il ristoratore viene a contatto con personalità, caratteri, opinioni, preferenze e gusti diversi gli uni dagli altri, ma alcuni episodi ricorrenti accadono sempre. Per esempio, talvolta capita che il cliente voglia dare un suo suggerimento sulla cucina pur non essendo del mestiere, senza tenere conto delle competenze altrui: in questi casi non sempre rispondo a tono, ma assecondo le idee che mi vengono presentate… almeno a parole. L’importante, come dicevo anche poco fa, è che l’ospite sia soddisfatto, anche di una risposta accondiscendente data dallo chef. Non tutti i suggerimenti, poi, finiscono nel calderone delle idee da dimenticare, ci mancherebbe: il confronto con persone dal palato raffinato è sempre arricchente, ci sono clienti che visitano locali d’alto livello e hanno sviluppato una competenza pur non essendo del mestiere. Tutto può succedere, ed essere aperti a nuove prospettive è fondamentale».
Vi invitiamo dunque a far seguire alla lettura una gita in loco, per visitare il Garda e, con l’occasione, godervi la cucina stellata dello chef Leandro Luppi: tra l’incanto del lago e le note di dolcezza con cui si potrà chiudere la vostra degustazione (magari con zabaione e biscotti), sarà un’esperienza da ricordare per sempre.
Intervista a cura di Chiara Tomasella