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Intervista a Giada Bozzolan, Lady Chef al ristorante 'Il Profumo della Freschezza'

Ci troviamo a Lusia, in terra polesana, dove il mercato ortofrutticolo e il contesto paesaggistico già suggeriscono l'importanza del contatto con la natura: quest'ultimo è valorizzato anche all'interno della cucina di Giada Bozzolan, giovane chef artista del gusto che trasforma ogni piatto in un'esperienza nuova, fatta di sapore e di sapere tradizionale.

Veniamo dunque a noi, chiedendo a Giada di presentarsi.

«Sono Giada Bozzolan, chef del ristorante “Il Profumo della Freschezza”. Qui do libera espressione alla mia creatività, che si concretizza, certo, anche nell’estetica delle portate, ma è legata a qualcosa di più profondo, ad una conoscenza più antica: nella mia professione mi dedico al recupero di tecniche del passato che rischiano di essere dimenticate, all’utilizzo di ingredienti non comuni, magari meno raffinati, provenienti dal mondo vegetale. Mi sono specializzata nelle preparazioni vegane sia per una mia preferenza e sensibilità verso il tema, sia per far luce su un tipo di cucina più trascurato, che viene approfondito meno rispetto alla ricerca intensiva che si dedica ai tagli della carne o al pesce. I ristoranti comunemente si limitano a proporre insalate miste o verdure grigliate a chi chiede cibo vegan; io ho deciso di fare ricerca in quest’ambito proprio per ampliare le possibilità e dimostrare che c’è ancora molto da imparare e da scoprire in questo settore».

«È difficile recuperare questo sapere? Ci sono delle figure che tieni come riferimento per la tua formazione in questo campo?»

«Mia nonna quand’ero piccolina mi ha mostrato come fare la pasta in casa e mi ha insegnato a raccogliere le verdure in orto, ma anche per lei le erbe spontanee erano erbacce, senza troppe distinzioni: la sua generazione è comunque già lontana dagli anni a cui faccio riferimento nel mio lavoro. La mia ricerca si rivolge quantomeno all’Ottocento, ad un’epoca preindustriale in cui ad esempio il condimento non consisteva in un semplice olio ma in un oleolito in cui sono infuse calendula, malva, rosmarino e altre erbe, con una tecnica recuperata dal mondo della medicina. Questa cosa la replico negli aceti, nei preparati macerati o essiccati, nei fermentati: è faticoso, ma anche incredibilmente soddisfacente capire appieno la ricchezza che si trova scavando un po’, non accontentandosi di conoscere quello che è già noto e a portata.

Siamo abituati a lasciarci affascinare dalle novità, da ciò che suona esotico e lontano, quando forse dovremmo riscoprire la genuinità di quello che già ci appartiene e troviamo a disposizione nelle nostre terre. Gli ingredienti che uso parlano di povertà, di un tempo in cui le persone facevano uso di questi preparati perché ne avevano la necessità: con il passare degli anni, la chimica ha sostituito la farmacopea tradizionale e il benessere economico ha portato la gente ad allontanarsi da una tipologia d’alimentazione che richiedeva un investimento di tempo notevole per essere seguita. Così, siamo arrivati velocemente al fast food, all’abbassamento della qualità che si lega alla produzione quantitativa di massa, sacrificando qualcosa che oggi ci stiamo accorgendo di dover recuperare».

«Un altro elemento limitante nella diffusione di queste pratiche è la carenza di cultura. Riconoscere le erbe spontanee non è facile e ci sono sempre meno nonni che insegnano ai nipoti come distinguere – ad esempio – i funghi commestibili da quelli che non lo sono: al Profumo della Freschezza si cerca anche di far recuperare questa cultura tramite corsi organizzati appositamente».

«Esatto. I corsi che organizzo sono rivolti ai professionisti, ma anche agli amatori e ai bambini: di recente le scuole mi stanno contattando per portare un’educazione di questo tipo tra i banchi, riconoscendole un ruolo nell’istruzione di base. Al Profumo della Freschezza il 21 giugno alle 19.30 terrò una lezione su pizza e focaccia farcita, invece: i posti sono già esauriti, ma seguendo i nostri social sarà possibile rimanere aggiornati sulle nuove proposte didattiche che metteremo in calendario. Un’anticipazione? Tra settembre e ottobre ricomincerò a raccontare erbe e fermentati.

I corsi che organizziamo riguardano anche il riciclo della materia prima, lo scarto zero e la detersione naturale: pochi sanno che è possibile realizzare il sapone e altri prodotti per l’igiene personale in totale autonomia, ma facciamo anche questo! Coerentemente con questi principi, l’agriturismo s’impegna a funzionare a basso impatto: è alimentato da pannelli solari, l’acqua piovana viene raccolta e immessa nel nostro stagno, viene praticata in ogni ambito l’economia circolare. Quando organizziamo i nostri corsi invitiamo a portare a casa i prodotti realizzati e quando un ospite desidera una scatolina gli viene fornito un contenitore in cellulosa per riporre gli avanzi: in alternativa, per la formula insalateria self service disponibile a pranzo dal martedì al sabato, è obbligatorio non avanzare alcunché. In questo modo, da otto anni a questa parte, educhiamo il cliente ad essere responsabile e ad evitare lo spreco».

«Una politica virtuosa che coinvolge anche la predisposizione di un certo tipo di menu, immagino»

«Proprio così: quello che avanza dal buffet viene utilizzato per creare delle polpette, mentre le cene prevedono poche scelte (tutte di qualità) con proposte stagionali. Il sabato sera e la domenica a pranzo offriamo invece un menu degustazione selezionato dallo chef, dall’aperitivo alla cena, sostenibile e strutturato con un percorso di abbinamenti sensoriali mai uguali di settimana in settimana. Così garantiamo di volta in volta cereali diversi scelti tra sorbo, quinoa, amaranto e altre varietà, invitando l’ospite a non avere alcun preconcetto e a vivere un’esperienza che altrimenti faticherebbe a scegliere se gli fosse presentata alla carta. Ovviamente, allergie e intolleranze verranno sempre tenute da conto.

Purtroppo ho avuto, grazie a precedenti esperienze, una testimonianza concreta di quanto venga buttato nel cestino se il ristoratore non opera scelte oculate nel management, soprattutto nell’organizzazione di grandi eventi. Anche a livello domestico la gente non è abituata a curarsi dei prodotti che vanno a male, con l’idea (sbagliata) di poterselo permettere. Uno dei miei obiettivi di vita è contrastare queste pratiche poco rispettose dell’ambiente: valorizzo anche da cliente i ristoranti che hanno una selezione ristretta delle proposte alla carta, ad esempio, perché so che cercano di lavorare con materie fresche e di gestire con maggiore efficienza tutti gli ingredienti».

«Come fa il consumatore a distinguere le mode da un progetto che mira a svilupparsi con sincera convinzione? Mi spiego meglio: il cibo vegano è spesso propagandato per agganciarsi ad un tema d’attualità, per accontentare uno spirito green di facciata. Hai un’opinione a riguardo?»

«Dal mio punto di vista anche una scelta legata alla moda del momento è un passo avanti.
Il consumatore si abitua a prestare attenzione alla tematica quando entra in contatto con determinati tipi di packaging o di proposte commerciali, riconosce che esiste e s’informa, andando oltre l’iconcina di una foglia verde e cercando di capire. Una sensibilità che nasce, diciamo, per un motivo superficiale è pur sempre una buona sensibilità, che può maturare e allontanarsi da quegli specchietti per le allodole che magari aveva seguito inizialmente. Io in questo sono piuttosto radicale: credo che l’unica certezza sia l’autoproduzione, perché nel momento in cui realizzo uno shampoo in casa so esattamente come ho reperito gli ingredienti e che impatto ho prodotto, cosa che non potrò mai controllare affidandomi ad una qualsiasi realtà esterna. Mi sento pioniera in questo campo, ma non ho fatto altro che riprendere abitudini risalenti a prima del Novecento, dopotutto».

«Tornando al Profumo della Freschezza: cosa troverà in tavola l’ospite, nelle prossime settimane?»

«Pronti in campo abbiamo ortaggi come le zucchine (e quindi i fiori di zucca), che usiamo per realizzare degli spaghetti da servire come antipasto, rape rosse, finocchi, fragole, legumi come piselli e fave, oppure ancora i fagiolini. L’entrée sarà costituita dunque da spaghetti crudisti con pesto di erbe spontanee (farinelli e ortiche), mentre le insalate saranno preparate come sempre con i nostri fiori eduli – a titolo d’esempio, calendula, papavero, fiordaliso. Anche le bevande non sono banali: prepariamo veri e propri cocktail botanici, come spritz addizionati di sciroppo di rose, di rosmarino, erba Luigia, oppure realizziamo versioni alternative del classico Negroni con distillati bitter d’artemisia e altre erbe… Una cosa che per me è davvero entusiasmante preparare, devo dire.

Qui al Profumo della Freschezza la ricerca non finisce mai. In futuro, vorrò portare sempre più spesso gli ospiti a passeggiare tra i nostri ingredienti, perché possano toccare con mano le foglie di salvia, odorare le rose, farsi un’idea di che cosa significa conoscere un giardino nelle sue mille sfaccettature. Vorrò essere più trasparente nella spiegazione delle mie ricette, che voglio siano un bene comune, tanto che ho in cantiere la stesura di un libro che (se tutto va come previsto) verrà pubblicato nel 2024: sempre nello stesso periodo, se non già alla fine del 2023, organizzerò anche corsi online per interfacciarmi anche con chi per vari motivi non possa raggiungerci in presenza. Io, dal canto mio, continuerò a essere un’eterna scolara: al momento sto seguendo due corsi a Casale di Scodosia, con Silvia e Gloria, ma continuo ad imparare anche grazie a Maria, la mia maestra nel campo delle erbe spontanee, oppure a Irene, del progetto Circus – Acrobazie Secondo Natura. Tante persone insomma, ma con un obiettivo unanime che mi fa piacere poter condividere e divulgare».


Per provare le esperienze qui descritte, vi invitiamo a prendere posto sotto le luci del giardino dei fichi o sul margine del laghetto del Profumo della Freschezza: ne rimarrete sorpresi.

Intervista a cura di Chiara Tomasella

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