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Intervista allo chef Alessio Boldrin

Nella nostra guida campeggiano i nomi dei ristoranti, ai quali è giusto dare un posto in primo piano tra le pagine di ogni edizione.

Non bisogna però dimenticare che dietro alle insegne e alle pietanze in menu ci sono l’intraprendenza, il talento e l’esperienza delle persone, la gentilezza dello staff in sala, l’impegno e la creatività degli chef, tutti elementi che concorrono a far apprezzare l’atmosfera di un locale.

È per valorizzare questo lato umano che, ogni primo martedì del mese, vi presenteremo un’intervista che metterà in luce uno ad uno i protagonisti della nostra selezione di locali: quest’oggi conosceremo più da vicino Alessio Boldrin, patron del ristorante “Bacaro il Gusto” di Fossò (VE).

 

Iniziamo dalle origini. Qual è il tuo primo ricordo legato alla buona cucina? È una tradizione di famiglia o sei stato il primo a portare avanti questa passione?

Soltanto il mio padrino aveva una trattoria, ma non ha avuto il tempo di insegnarmi il mestiere, purtroppo. Da piccolino, invece, ogni sabato andavo a trovare mio zio e lo osservavo lavorare in officina e ai fornelli: mi affascinava vederlo affaccendarsi per preparare la cena e volevo provare anche io a darmi da fare, aiutandolo con le zucchine fritte e le altre pietanze.

In seguito ho frequentato la scuola alberghiera, con l’obiettivo di trovare impiego in un mondo diverso da quello dei miei genitori, imprenditori nel campo della falegnameria; a sedici anni ho iniziato ad affiancare il personale in cucina, all’interno di un ristorante storico specializzato nelle preparazioni a base di pesce.

Hai avuto modelli da cui prendere ispirazione per la tua crescita professionale?

Non propriamente, no.

Mio padre mi ha insegnato la costanza e la dedizione per il lavoro, insieme all’antipatia per gli sprechi.
La prima cuoca con cui ho fatto apprendistato, invece, mi ha davvero formato, insegnandomi le basi della cucina: si chiamava Anna, e per me è stata, oltre che una maestra, una seconda mamma.

A dire il vero, però, ho sempre cercato di costruirmi da solo la mia strada, prendendo spunto dalle doti che vedevo nelle persone che mi circondavano, inseguendo nuove esperienze quando si presentava la giusta occasione. Pensa che sono partito per la Spagna senza avere idea di cos’avrei trovato ad aspettarmi a Madrid! In fin dei conti, sono state la curiosità e la passione a portarmi dove sono oggi.

Quale ritieni sia stato il tuo primo successo? E il traguardo più importante per la tua carriera?

Ti direi che la mia prima soddisfazione nel campo della ristorazione è stata uscire dalla cucina con i piatti ordinati dai miei parenti, venuti a trovarmi al ristorante dove lavoravo. Ero orgoglioso di avere il loro supporto: anche quando lavoravo all’estero facevano in modo di esserci sempre per Natale o per la Pasqua, dimostrandomi la loro vicinanza. Forse erano di parte nel complimentarsi con me, ma credo ritenessero veramente ben riusciti i miei piatti.

Dopo undici anni dal mio esordio in campo enogastronomico, nel 2009 ho finalmente aperto il mio ristorante: per me era importante dare avvio ad un’attività in proprio, era il mio sogno fin da piccolo, ma da quella data in poi (anche se in fondo era così anche prima) ogni giorno per me è un nuovo traguardo.
Non ho mai lavorato perché mi sentissi costretto a farlo, anzi: non vedevo l’ora di entrare in cucina, di imparare qualcosa di nuovo. Oggi si tende molto a sottovalutare il valore della conoscenza, mentre la dovremmo mettere al primo posto.

Venendo al tuo ristorante: come hai reinterpretato l’esperienza dei bacari veneziani?

Volevo rendere elegante la consumazione del classico cicchetto, accompagnandolo con prodotti di stagione e minimizzando lo spreco di cibo. Ho lavorato a Venezia e in pochi proponevano quest’idea di “bacaro gourmet”, slegato dal concetto di osteria; inoltre, nei locali che ho frequentato a fine giornata era normale buttare nella spazzatura anche ingredienti di pregio. Nell’esperienza che volevo costruire, questo non sarebbe dovuto succedere.

Con la mia cucina non ho mai voluto impressionare le persone, ma presentare loro genuinità e semplicità: il gusto sta nel curare la materia prima, senza inseguire fantasie scenografiche che possono ingannare l’occhio ma non il palato.
A volte le nuove leve mi chiedono di insegnargli la cucina molecolare, ma senza saper fare prima un arrosto che senso ha parlare di sferificazione? Il primo compito che do ai ragazzi che fanno apprendistato è quello di curare le verdure, non tanto perché non li ritenga capaci di imparare anche qualcosa di più avanzato, quanto perché le basi sono indispensabili e occorre acquisirle prima di passare ad altro.

Per concludere e lasciarci con l’acquolina in bocca, hai un piatto preferito tra quelli che prepari al Bàcaro?

Scegliere non è così scontato! Mi piace davvero tutto quello che faccio. Forse potrei citarti il mio piatto storico di cacio e pepe, con la pasta fresca fatta da me, un po’ di pecorino e un paio di scampetti saltati, una vera delizia. Lo consiglierei a chi chiedesse un buon primo.

Grazie per la chiacchierata, Alessio: ai lettori non resta che fare un salto a Fossò per provare di persona la tua cucina.

 

Articolo a cura di Chiara Tomasella

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